C’è poco da fare. O meglio c’è tantissimo da fare, quando in un paese come il nostro il dibattito si concentra sui giovani, sulla scarsa voglia di lavorare e di formarsi e sui sussidi che ricevono. Quali sussidi, poi?
Nelle dichiarazioni paternalistiche che si susseguono, solitamente pronunciate da chi ha avuto una vita abbastanza facile, ci sono due pericolosi rimossi.
Il primo: gli ultimi dati ISTAT ci dicono con disarmante chiarezza che l’incidenza della povertà riguarda soprattutto la popolazione giovanile.
Fra i giovani da 0 a 34 anni c’è un’indice di povertà complessivo che supera il 12%.
Significa che milioni di giovanissimi vivono una condizione di indigenza e di difficoltà, che di per sé costituisce una barriera pressoché insormontabile al miglioramento delle proprie condizioni di vita.
E questo accade fondamentalmente per due motivi. Un motivo della povertà ha a che fare con i salari bassissimi, che spesso prescindono dal titolo di studio conseguito.
Il secondo motivo ha a che fare con il secondo rimosso del dibattito italiano.
Come si fa carriera in Italia? Qual è il percorso che devono affrontare le giovani generazioni per vedere un miglioramento della propria condizione socio-economica di partenza?
Tutte le ricerche degli ultimi 10 anni ci dicono di come si sia fermato il famoso ascensore sociale. Ovvero la possibilità per chiunque di arrivare ai massimi gradi dell’istruzione e della scala sociale, a prescindere dalla famiglia in cui si nasce.
E questa possibilità non era frutto del caso, ma dell’applicazione del dettato costituzionale che l’Italia del dopoguerra aveva assunto come religione civile.
L’Italia ha avuto per anni la sacrosanta ossessione di uscire dalla povertà materiale ed educativa dei suoi cittadini.
Offrire a tutti le piene opportunità per realizzare il proprio percorso di vita in maniera dignitosa era l’obiettivo dichiarato.
Non importa a quale famiglia tu appartenga, né quale sia il tuo status di partenza, io mi preoccupo della tua formazione, per fare in modo che tu divenga un cittadino consapevole e magari poi un esponente della classe dirigente del paese.
Oggi la politica ha sostituito questo nobile obiettivo collettivo con l’arte dell’arrangiarsi.
E così accade che ci siano giovani ultra formati, con curriculum di studio e di formazione che farebbero impallidire molti politici e capitani di industria, costretti a vendere contratti telefonici, nei sottoscala dei finti call center, con paghe orarie da 2 euro l’ora.
Oppure obbligati ad aprirsi una partita IVA, acquistarsi una bici, per poter consegnare cibo a domicilio sfrecciando nelle strade delle grandi città, con ritmi infernali per poter mettere insieme 30 euro al giorno.
Per non parlare di quelli che devono accettare i tirocini gratuiti, o con un rimborso di 300 euro al mese.
Abbiamo il coraggio di dire che sono umiliazioni?
E quel che è peggio è che se non accetti queste umiliazioni, secondo alcuni autorevoli imprenditori e politici italiani, sei uno sfaticato, che preferisce il divano di casa e il reddito di cittadinanza.
Tutto ciò è diventato inaccettabile.
Bisogna avere il coraggio innanzitutto di riconoscere che l’Italia è diventato il Paese dei figli di.
È facile fare carriera se sei figlio del Mulino Bianco (…), o figlio di un barone, o figlio di quella cultura sempre così diffusa, per cui se hai le conoscenze giuste, se stai nei giri che contano, qualcosa la ottieni sicuro.
Il secondo coraggio che serve è quello di fare il più grande investimento sul futuro e sulle giovani generazioni che questo Paese abbia mai conosciuto.
L’idea di Enrico Letta della dote ai 18enni va nella giusta direzione, ma temo non sia sufficiente per la portata del problema che abbiamo di fronte. Serve uno sforzo maggiore, un passo in più.
Serve offrire la totale gratuità del percorso di formazione dalla culla all’università.
Serve la gratuità dei libri di testo.
Servono maggiori risorse, stabili e certe, per il diritto allo studio.
Serve rivoluzionare la mobilità, proponendo la gratuità del trasporto pubblico locale per i pendolari.
E serve introdurre un salario minimo legale, perché nessuno debba essere più costretto ad accettare un lavoro povero.
È il tempo del coraggio. È il tempo del cambiamento, che questo governo non è in grado di attuare.
Battiamoci per la Next Generation Tax.
Nico Bavaro
Responsabile Comunicazione Sinistra Italiana