L’attuale sistema fiscale italiano ha tre grandi problemi aperti, da affrontare nella direzione di una riforma complessiva.
Il primo è che la tassazione sui redditi esclude una serie troppo vasta di tipologia di entrate, determinando così un effetto di forte iniquità.
Sono infatti soggetti a tassazione separata le rendite da capitale, i redditi da locazione e quelli da lavoro autonomo sotto i 65.000 euro.
Si determina così il fatto che chi abbia ad esempio entrate per 40.000 euro da lavoro dipendente paghi fino al 38% di aliquota marginale, mentre chi affitti una serie di appartamenti a canone libero si fermi al 21%, al 26% chi percepisca cedole e dividendi, il 15% sul reddito decurtato un lavoratore autonomo.
Si dovrebbe quindi intervenire assoggettando ad un’unica imposta progressiva l’intero reddito, indipendentemente dalla categoria.
Allo stesso tempo, si dovrebbero rivedere le aliquote irpef, introducendo una no tax area assoluta fino a 10.000 euro annui, stabilendo così il principio di non tassazione del minimo vitale, e quindi un modello di progressività lineare sul modello tedesco, che parta dal 14% per arrivare al 45%, introducendo eventualmente un prelievo aggiuntivo del 5% per chi superi i 200.000 euro annui, del 10% oltre i 500.000 e del 20% oltre il milione.
Una riforma di questo tipo favorirebbe i redditi bassi e non penalizzerebbe quelli medi, qualora derivanti in misura significativa da lavoro dipendente, mentre sfavorirebbe le rendite pure.
Potrebbe invece costituire un aggravio per il lavoro autonomo oltre i 25.000 euro, che tuttavia dovrebbe trovare una compensazione nel parallelo riordino del welfare, venendo ricompreso in tutele quali la maternità e gli ammortizzatori sociali.
Il secondo problema è il livello intollerabile di evasione fiscale, che inficia qualsiasi discorso sulla progressività e che paradossalmente rischia di alimentare il tasso di ingiustizia, nel momento in cui si estendano prestazioni di welfare anche esternamente al lavoro dipendente.
In questo caso è lecito affermare che le soluzioni siano note da tempo, così come da tempo latita la volontà politica di applicarle.
È possibile intervenire sull’evasione IVA, attraverso la fatturazione elettronica e l’estensione di split payment e reverse charge.
Si può ulteriormente incentivare l’utilizzo della moneta elettronica, anche con strumenti come il cash back che va ulteriormente incentivato nella sua diffusione.
Deve essere lanciata una campagna inflessibile contro il lavoro nero, a tutela dei diritti e della sicurezza.
Vanno messe in campo tutte le misure contro l’elusione delle multinazionali, appoggiando l’iniziativa Biden in questa direzione e lavorando in sede UE e nazionale per rafforzare la lotta ai paradisi fiscali, al profit shifting, all’assenza di trasparenza.
Il terzo problema è l’assenza di un’imposta patrimoniale unica e progressiva, in un sistema che alimenta e premia sempre più l’accumulazione e la concentrazione della ricchezza.
Oggi in Italia sono assoggettati a tassazione gli immobili diversi dalla prima casa, i depositi titoli e la giacenza di cc sopra i 5.000 euro.
È invece molto limitato il prelievo sulle successioni, tanto che le entrate medie annue sono inferiori al miliardo di euro, contro gli oltre 15 della Francia.
Siamo quindi di fronte ad un quadro particolarmente penalizzante per i piccoli risparmiatori e molto favorevole per le grandi ricchezze.
Ereditare una casa può rivelarsi un costo insostenibile per una famiglia di operai, mentre chi detenga attivi finanziari da decine di milioni di euro sarà tassato allo 0.2%.
Sarebbe quindi utile e giusto cancellare le imposte esistenti, per sostituirle con una nuova, che consideri la ricchezza individuale totale e la assoggetti ad un regime a scaglioni, con una no tax area di 500.000 euro e un’aliquota massima del 2% oltre i 50 milioni.
Si dovrebbe inoltre prevedere un forte quadro sanzionatorio per chi occultasse parte dei propri asset e accompagnare la riforma con la revisione del catasto, già pronta da anni nei cassetti del MEF in attesa di una maggioranza che voglia farla propria.
In conclusione, la redistribuzione per via fiscale assume un valore sempre più forte, in un mondo che produce quote crescenti di reddito e ricchezza per vie diverse dal nesso diretto e immediato capitale-lavoro.
È quindi questione decisiva su cui costruire un progetto e una maggioranza di Governo che si ponga l’obiettivo di cambiare l’Italia.
Non dovrebbe invece essere cosa per compagini abborracciate e dalla chiara impronta conservatrice, come quella che sostiene l’attuale esecutivo.
Giovanni Paglia
Responsabile Economico Sinistra Italiana